domenica 18 novembre 2012

Ragazzi adottati: cosa accade in adolescenza?




Sono in trincea e sanno di esserlo, i genitori che affrontano l’adolescenza di un figlio adottivo.


«L’adolescenza è per tutti un momento di bilancio», spiega Barbara Di Cursi, psicologa e psicoterapeuta che ha condotto la riflessione e che lavora per l’ong Cifa, uno dei maggiori enti italiani autorizzati alle adozioni internazionali. «In questo faticoso processo, i ragazzi guardano al passato per definire la propria identità. Nel vissuto di un adottato è prima di tutto necessario fare i conti con le proprie origini, oltre che con la necessità di “separarsi” dai propri genitori, che è tipica di ogni adolescente».

E se un figlio biologico può allontanarsi, in modo più o meno tempestoso, da qualcuno a cui è appartenuto, un figlio adottivo deve fare un doppio lavoro: «Prendere le distanze dai propri genitori adottivi ma anche da quelli biologici, a cui non è mai appartenuto», prosegue la Di Cursi. Il problema della separazione è centrale perché «spaventa molto: questi ragazzi hanno appena cementato un senso di attaccamento verso la famiglia adottiva, da cui si sentono finalmente rassicurati e gratificati. Poi una nuova tappa della vita li porta via, verso il mondo adulto».


Anche la differenza etnica può rappresentare un problema: mentre prendono le distanze dalla famiglia, i ragazzi cercano sicurezza e certezze nel gruppo dei pari. «E le differenze somatiche e culturali possono essere un ostacolo duro da affrontare, soprattutto perché molti adottivi soffrono di una bassa autostima», sottolinea la Di Cursi, ricordando che anche nel caso di un’adozione nazionale emerge il problema, magari non sotto il profilo etnico ma come sensazione di appartenere a una “categoria”.

Cosa fare?

«Prima di tutto, imparare a pensare che i nostri figli non si svegliano alla mattina e all’improvviso sono adolescenti: siamo dentro a un cammino graduale, in cui l’aver lavorato bene prima, durante l’infanzia, aiuterà a mantenere aperto il dialogo anche durante la “tempesta», prosegue l’esperta. Ed è proprio “dialogo” la parola chiave che Barbara Di Cursi propone come consiglio a tutti i genitori: «Una comunicazione aperta e genuina che non significa avere un rapporto alla pari - perché le regole sono necessarie - ma piuttosto dare ai propri ragazzi la certezza costante che esiste sempre un luogo dove poter aprirsi e parlare».


http://www.famigliacristiana.it/famiglia/news/articolo/ado.aspx

Nessun commento:

Posta un commento